Quello che segue è un atto d’amore nei confronti di un personaggio che può a pieno titolo considerarsi come l’astro indiscusso del tastierismo rock e che proprio quest’anno avrebbe compiuto 80 anni.

La mia passione per Keith Emerson inizia al termine delle scuole elementari e prosegue amplificandosi negli anni parallelamente ai miei studi di pianoforte al Conservatorio: i suoi brani rappresenteranno sempre un traguardo irraggiungibile per me ma – ed è quello che ha contato di più – lo stimolo principale per migliorare e finalizzare la tecnica classica a qualcosa di diverso. Sappia dunque il lettore che proseguendo oltre troverà sì una breve cronaca delle vicende principali che hanno caratterizzato la vita e le opere di Keith Emerson, ma altresì una quasi agiografia del personaggio; e proprio perché tale sarà arricchita con link tratti da modesti ma personali omaggi musicali esplicativi.

Ars longa vita brevis dunque: la citazione latina, forse più conosciuta nell’ambiente musicale per essere il titolo di un noto album dei Nice, una volta tanto non ci dipinge il solito quadro tragico di un mito del rock troppo prematuramente scomparso. Keith Emerson è vivo e vegeto, e lo si nota soprattutto dai messaggi postati su gruppi Facebook o su Twitter da nuove generazioni di musicisti che incominciano a eseguire, prendere spunto o arrangiare i suoi grandi classici (due fra tutti meritano un ascolto: la polistrumentista Rachel Flowers o la new entry dei PFM Luca Zabbini).

E proprio i Nice furono uno dei primi gruppi (dopo i T-Bones e i The VIPs) in cui militò un giovanissimo Emerson da poco licenziatosi da un sicuro quanto improbabile impiego in banca. Furono gli anni in cui la sua passione per la musica classica esercitò una grande influenza sul suo stile e divenne parte integrante del successo: credo che il progressive-rock sarebbe stato differente se questo artista non avesse riversato la sua cultura musicale enciclopedica in quello che scriveva. L’amore per i classici dunque emerge immediatamente nella carriera di Emerson e Bach in particolare è riconosciuto come una vera e propria auctoritas da riprodurre e imitare fino alla nausea (sembra impossibile ma perfino l’arrangiamento di Country Pie, un classico di Bob Dylan, fu fuso totalmente con il sesto concerto Brandeburghese).

Nel repertorio trovarono spazio ad esempio, oltre ai Concerti Brandeburghesi e la Toccata e fuga in re minore, la Karelia Suite di Sibelius, il Preludio in Do minore di Rachmaninoff, la Sinfonia ‘Patetica’ di Tchaikovsky e la Sinfonia Spagnola di Lalo. Il tutto però non voleva essere un gioco erudito fine a se stesso ma la dimostrazione che l’esecutore era anche una macchina pensante: la fusione con i testi, le nuove armonizzazioni e le sonorità ricreate grazie a un approccio totalmente differente con l’organo Hammond fecero nascere il nuovo sound del progressive-rock.

L’inizio della sua grande notorietà pubblica si può fissare al 26 giugno del 1968, giorno in cui alla Royal Albert Hall di Londra, in un concerto per la commemorazione dei diritti dell’uomo, ebbe luogo l’ormai celeberrima ma discussa azione di protesta contro gli USA. Dalla testimonianza di Barrington “Bazz” Ward, storico roadie di Emerson, si evince che ad un certo punto, durante un assolo, Keith sposta un enorme foglio di carta bianco, con delle stelle raffigurate in alto a sinistra, che aveva in precedenza fatto salire sul palco e sul quale, con una bomboletta spray, disegna delle strisce rosse per completare la bandiera americana. L’idea doveva essere quella di bruciare l’improvvisata bandiera ma Emerson viene bloccato dal servizio d’ordine e portato fuori dal palco. La stessa sera, la band ascoltando Radio Luxembourg apprende che un gruppo chiamato The Nice ha bruciato la bandiera americana alla Royal Albert Hall, in segno di protesta; fu così che nacque quella leggenda.

In un clima di proteste più o meno consapevoli e meditate ma assai diffuse tra il mondo giovanile (si era all’indomani dell’assassinio di Bobby Kennedy e di Martin Luther King) quella provocazione, oltretutto sulle note di America di Leonard Bernstein, fece immediatamente il giro del mondo. Quel gesto, oltre a diversi ovvi problemi burocratici, gli diede però una visibilità enorme. I Nice in verità stavano lentamente esaurendo la loro carriera, ma l’ultimo anno passato con il gruppo fece emergere definitivamente la sua aura magica sia come musicista sia come travolgente animale da palcoscenico.

La vera grande rivoluzione per Emerson arriverà con la scoperta da parte sua del sintetizzatore Moog alla fine degli anni ‘60. La lungimiranza di questo artista ha fatto sì che la tecnologia trovasse da allora ampio spazio nella sua musica e che fin dal primo concerto con la nuova formazione degli Emerson, Lake & Palmer il mastodontico strumento divenisse una costante della scenografia di palco. Fu tanta la voglia di migliorare le prestazioni di quello strumento allora molto instabile per l’uso live (frequenti erano i cambiamenti di intonazione dei primi modelli) che iniziò un sodalizio duraturo direttamente con il suo inventore, l’ingegner Robert Moog il quale, analizzando i suggerimenti di Keith, si adoperava a modificare le macchine e a migliorarle qualitativamente.

I primi quattro anni di vita della nuova band (1970-1974) diedero vita a dischi e concerti irripetibili: nacquero così l’omonimo Emerson Lake & Palmer contenente la super hit scritta da Greg Lake Lucky Man e la delicata Take a Pebble, l’incredibile live Pictures At An Exhibition con le musiche di Modest Musorgskij, il concept album Tarkus e Trilogy, contenente perle come The Endless Enigma o The Sheriff. Tanta era la smania di creare che un album come Tarkus, manifesto del progressive grazie alla suite che copre tutta la prima facciata dell’LP, fu registrato in due settimane su un 16 piste; per festeggiare il momento, gli ELP improvvisarono quella che diventerà l’ultima traccia (Are You Ready Eddy?), un rock and roll dedicato al tecnico del suono Eddie Offord al termine del quale è inserita la storica frase che conclude l’album "They’ve only got ‘am or cheese" pronunciata dalla cameriera che quotidianamente li riforniva di panini agli Advision Studios.

Ma l’anno di grazia della band sarà il 1973 perché è quello del Brain Salad Surgery, il grande capolavoro prog che sancisce definitivamente e in modo trionfale l’ingresso delle macchine e della tecnologia in ambito compositivo: ne sono testimoni sia la Toccata di Ginastera sia la lunga suite Karn Evil 9, il testo della quale fu scritto da Lake insieme a Peter Sinfield da poco scomparso. Toccata è un adattamento dell’ultimo movimento del Primo concerto per pianoforte di Alberto Ginastera con l’utilizzo di uno dei primissimi sintetizzatori polifonici e di pad per la ritmica collegati da Robert Moog ai suoi synth.

Emerson in persona dovette recarsi a Ginevra da Ginastera, allora rifugiato in Svizzera a causa dell’occupazione dell’Argentina, per risolvere una controversia circa i diritti di utilizzo delle composizioni del maestro. Keith fece ascoltare la registrazione della Toccata appena mixata e l’unica esclamazione che uscì dalla bocca di Ginastera fu: “Terribile”. In realtà fu un modo gergale – tradusse subito dopo la moglie Aurora – per esprimere una grande soddisfazione, tanto da sostenere che la sua musica avrebbe dovuto suonare esattamente così.

Karn Evil 9 invece rappresenta da sempre l’apice tecnico di ciò che può essere eseguito live senza ausilio di tracce preregistrate da un tastierista: le ahimè poche registrazioni video dei concerti del tempo ci danno se non altro l’idea della complessità derivante non solo dalla difficoltà di esecuzione, ma anche dai cambi repentini di tastiera (emblematica l’immagine di Emerson che guarda il pubblico suonando con le braccia aperte su due strumenti posti ai lati), e dall’estemporanea gestione dei suoni dei sintetizzatori creati in diretta muovendo i potenziometri delle macchine senza mai fermare l’esecuzione con la mano libera.

L’ambizione artistica degli ELP trovò coronamento anche nella grafica di copertina del Brain Salad Surgery: per l’occasione fu contattato il pittore e designer svizzero H.R. Giger il quale creò l’immortale donna-teschio che campeggerà anche sullo sfondo del palco durante il tour del 1973/74. Fu per gli ELP un parziale riscatto nei confronti di Salvador Dalì il quale chiese al gruppo il compenso folle di 150.000 dollari per l’artwork del precedente Trilogy.

La tecnica pianistica e tastieristica di Emerson raggiunge il suo apice proprio durante la trionfale tournée del 1974 che darà vita al triplo album live più venduto fino a quel momento dal lunghissimo titolo Welcome Back My Friends, To The Show That Never Ends – Ladies And Gentlemen Emerson, Lake & Palmer. Ancora oggi l’ascolto dell’inimitabile solo di pianoforte che spacca a metà Take A Pebble ci dà il senso della perfezione estrema e del coraggio avuto nell’affrontare certe scelte di repertorio. Mi riferisco in particolar modo alla complessa fuga di Friedrich Gulda (geniale esperimento di commistione tra l’armonia jazz e le regole del contrappunto canonico che verrà poi sviluppato meglio da Nikolai Kapustin) e allo sconfinamento in un territorio estraneo al rock come quello dell’improvvisazione jazz.

Ed è proprio dal mondo del jazz che arriva per Keith la consacrazione a pianista di culto: nel 1975 Oscar Peterson lo invita a partecipare alla sua trasmissione Oscar Peterson presents. I due si erano conosciuti al Ronnie Scott’s Jazz Club a Soho dove Peterson si esibiva in trio con il fido Niels-Henning Ørsted Pedersen al basso e Martin Drew alla batteria. Quella sera Peterson, oltre a confessare di aver visto alla televisione uno show degli ELP in cui Keith volteggiava a quindici metri di altezza con il suo pianoforte gran coda e di aver immediatamente telefonato a Count Basie per obbligarlo a sintonizzarsi sullo stesso canale, lo invitò al suo programma alla BBC.

L’idea del duello tra i due pianisti sulle note dell’Honky Tonk Train Blues è ormai storia e lascerà una traccia indelebile nell’immaginario musicale soprattutto degli italiani: non si dimentichi che Keith Emerson è conosciuto dal nostro grande pubblico proprio per l’esecuzione (non nella versione con Peterson) di questo brano, diventato nel 1976 colonna sonora della trasmissione Odeon e lato A del 45 giri contenente anche la bella Barrelhouse Shake-Down.

Sempre nel 1975 esce il singolo natalizio I Believe In Father Christmas che raggiunse il secondo posto in classifica in Inghilterra: il tema del solo è la Troika, estrapolata dalla suite Il luogotenente Kijé di Sergej Prokof’ev.

Da quel momento fu d’obbligo uscire dall’impasse che il progressive aveva generato negli anni, convogliando la musica in un vizioso imbuto di autocitazioni e di preziosismi colti. Forse l’unico (e ultimo) gradino da superare fu proprio il ‘regresso’ alla classicità assoluta con la composizione del Piano concerto n. 1: anche se si trattava di un punto di non ritorno, era necessario per Keith dimostrare ai suoi fan (e soprattutto a se stesso) che oltre ad accoltellare organi Hammond e a stupire il mondo con esecuzioni rocambolesche era anche in grado di fermarsi a meditare e a far meditare.

Alla scrittura per orchestra già si era dedicato in passato per i Nice con la Five Bridges Suite utilizzandola anche come palestra di composizione: non sapendo al tempo nulla di orchestrazione corse di gran lena ad acquistare il Manuale di orchestrazione di Walter Piston e il processo di armonizzazione e di stesura delle parti, come si può immaginare, fu molto lento dovendo consultare il manuale per verificare la fattibilità dei passaggi sugli strumenti e le varie estensioni raggiungibili.

Il concerto invece, orchestrato insieme a John Mayer, fu registrato nella Kingsway Hall di Londra con una scettica London Philarmonic Orchestra: fu un disastro e le sessioni vennero annullate causa l’indifferenza e la superficialità dei musicisti. Quando vennero sostituiti alcuni di essi durante la seconda sessione presso gli studi ITC a Wembley il risultato fu eccezionale. Una curiosità: il terzo movimento del Piano Concerto fu completato nel 1975 sfruttando un pianoforte verticale di fortuna dopo che un incendio aveva distrutto la residenza di Stone Hill nel Sussex (e con lei il suo Steinway e i masters di Honky Tonk Train Blues), splendida tenuta già abitazione del padre di Peter Pan J.M. Barrie. Fu proprio per quel motivo che l’indicazione agogica del brano diverrà ‘Con Fuoco’.

I tre movimenti del concerto, con le loro fusioni di atmosfere romantiche e armonie jazz, serialismi novecenteschi e status che rimandano alle opere per pianoforte di Ginastera e di Shchedrin, convincono ancora oggi dato che diverse sono state le esecuzioni negli anni nonostante lo scetticismo iniziale di un noto compositore: a Parigi, durante le registrazioni di Pirates con l’orchestra, comparve in studio un incuriosito Leonard Bernstein per saggiarne la qualità e lo stesso, con fare altezzoso, durante una cena con i suoi fedelissimi in un bistrot, tenterà di ridicolizzare il Piano Concerto dopo poche occhiate alla partitura. Fu forse una vendetta per la mai apprezzata versione di America estrapolata da West Side Story?

Ciò che più affascina di questo lavoro è l’effetto che ha suscitato sul pubblico: durante la tournèe del 1977 Keith convertì un intero popolo rock all’ascolto silenzioso di un’opera totalmente estranea a quel mondo, distruggendo con pochi minuti di musica anni di pregiudizi relativi all’omologazione passiva della massa e dilatando i confini di fruizione dei generi.

Con quel canto del cigno il sogno finì e gli ELP si sgretolarono. Emerson cominciò a dedicarsi alle colonne sonore (celebre è diventato il motivo conduttore di Inferno di Dario Argento) e tentò di mettere insieme nuovi gruppi senza particolari successi.

Ho assistito a una loro esibizione dal vivo nel 1992 all’Arena di Verona: nonostante fosse palpabile l’operazione commerciale della reunion il gruppo resse bene (non certo grazie alla voce di Lake ormai devastata dal fumo) e Emo non risparmiò nessuno dei suoi cavalli di battaglia, non solo suonando coricato al contrario e massacrando l’Hammond L100 ma arrampicandosi anche sui tralicci dell’americana a disdegno delle sue preziose mani. Fu però un fuoco di paglia.

Non merita infatti parlare degli ultimi anni: i molti acciacchi e i talvolta gravi problemi ai tendini delle mani hanno annientato quasi del tutto il fuoco che scaturiva dalle sue esibizioni. Il discorso è sempre lo stesso: il rock – e ne sono convinto – lo si può fare anche a 70 anni, ma la saggezza della vecchiaia dovrebbe saper sviluppare un’autocritica tale da rendere l’uomo consapevole dei propri limiti. Non accettarli conduce purtroppo alla sofferenza.

Quello che rimane però scolpito nella mente del grande popolo del rock è l’immagine di un leone della tastiera, di un musicista infaticabile sul palco e inesauribile nella tecnica come solo il grande Liszt dovette essere prima di lui. E la cosa curiosa è che anche come virtuoso fu originale: il virtuosismo è un espediente dei musicisti per farsi osannare da una parte dei loro fan; è un escamotage politicamente corretto e accettato per dimostrare superiorità e bravura sul palco. Quando però la dimostrazione è finita arriva il tempo della sostanza: ad un certo punto la maturità artistica impone la riflessione. La critica che si può muovere a mostri sacri come Art Tatum e allo stesso Peterson i quali, in alcuni momenti della loro carriera, hanno peccato di troppo virtuosismo a discapito della raffinatezza armonica e della fantasia improvvisativa, per Emerson è stata un punto di forza poiché bilanciata sempre da solide innovazioni compositive.

Discografia essenziale

Con i The Nice

  • 1968 - The Thoughts of Emerlist Davjack.
  • 1968 - Ars Longa Vita Brevis.
  • 1969 - Nice.
  • 1970 - Five bridges.
  • 1971 - Elegy.

Con gli Emerson, Lake & Palmer

  • 1970 - Emerson Lake & Palmer.
  • 1971 - Tarkus.
  • 1971 - Pictures at an Exhibition.
  • 1972 - Trilogy.
  • 1973 - Brain Salad Surgery.
  • 1974 - Welcome Back My Friends.
  • 1977 - Works Volume 1 e 2.

Come solista

  • 1980 - Inferno.
  • 1981 - Nighthawks.
  • 1988 - The Christmas Album.
  • 1989 - La chiesa.